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Inventario di ottobre. Di elefanti e disperanza

Nel libro più bello e terribile che ho letto questo mese – e credo anche il più bello e terribile che ho letto quest’anno – c’è un elefante che si chiama David. È un animale buono, mansueto, capace di convivere con le persone, di preoccuparsi per loro e affezionarsi. Come David, anche il cane Bauhsan e l’asina Circe dimostrano capacità più umane che bestiali, mentre nel frattempo gli umani si dimostrano le insuperabili bestie che sono.

L’elefante David è l’immagine più cara che porto con me in questo mese, un ottobre che è sembrato agosto e che è stato così struggente da avermi fatto scoprire il sentimento della disperanza in un senso per me nuovo: una specie di sgomento profondo di fronte a qualcosa di molto, molto grande.

Il libro a cui mi riferisco è L’uomo verticale di Davide Longo (Einaudi, 2022) e ne accenno in questo mio inventario di ottobre.

Cominciamo.

Indice

  1. Libri
  2. Un film
  3. Una canzone
  4. Un posto bello
  5. Oggetti prediletti
  6. Piccoli rituali domestici
  7. Una ricetta
  8. Curiosità
  9. La parola del mese
  10. Cose da ricordare

1. Libri

Quattro i libri letti.

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Robert Kolker, Hidden Valley Road. Nella mente di una famiglia americana

[titolo originale: Hidden Valley Road. Inside the Mind of an American Family, traduzione dall’inglese di Silvia Rota Sperti, Feltrinelli, 2022, pp. 448]

L’onesto reportage di un giornalista investigativo su un caso di studio internazionale nella comunità scientifica: il caso Galvin, la famiglia più psicotica d’America negli anni ’50.

Gli ho dedicato un blogpost e credo possa bastare: Hidden Valley Road, di Robert Kolker [“… ogni famiglia infelice è invece disgraziata a modo suo”].


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Davide Longo, L’uomo verticale

[Einaudi 2022, prima Fandango 2010, pp. 360]

Quando ho chiuso questo libro, ero addolorata e avevo un peso sul cuore. Erano le quattro del mattino, avevo passato ore a leggerlo, e mi sembrava di tornare al mondo da un posto lontano e disperato.

Romanzo pubblicato nel 2010 da Fandango e poi da Einaudi quest’anno, è uno dei primi lavori di Davide Longo, autore che finora avevo apprezzato per i quattro libri della saga di Bramard e Arcadipane (una serie di romanzi un po’ gialli, un po’ noir e, per il resto, straordinariamente fuori da canoni e generi letterari, a favore dell’autenticità dei personaggi e delle loro storie).

L’uomo verticale è la storia di quello che succederebbe “se“. C’è il What If del romanzo distopico e c’è la società primitiva del romanzo post apocalittico; c’è la verità nuda degli esseri umani e della violenza primordiale di cui siamo capaci; ci sono la guerra civile, i prigionieri, gli stupri, la morte e la follia; e infine c’è il viaggio verso una qualche salvezza. È un libro bellissimo e terribile. È scritto in un modo perfetto per la storia che racconta. È entrato nel cerchio dei miei libri prediletti.

Sul sito ufficiale di Davide Longo si può leggere la trama e sul sito di Einaudi un estratto.

Mettetevi a letto con una grossa coperta di lana, una tisana calda, una scatola di fazzoletti di carta, e quel poco di luce che basta alla lettura. Leggete questo romanzo, o rileggetelo. Vogliategli bene e non distogliete lo sguardo dalle pagine.


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Petra Hartlieb, La mia meravigliosa libreria

[titolo originale: Meine wundervolle Buchhandlung, traduzione dal tedesco di Juliana De Angelis, Lindau, 2019, pp. 200]

Dopo la lettura di un romanzo come L’uomo verticale, che a sua volta è venuta dopo la lettura di un reportage sulla schizofrenia, avevo proprio bisogno di leggere qualcosa di semplice e leggero, una piccola storia di sana e gioiosa follia. Mi piacciono molto i racconti personali di chi apre librerie indipendenti (un esempio in Italia: Alba Donati, La libreria sulla collina, Einaudi 2022). Ecco perché La mia meravigliosa libreria, che avevo comprato la scorsa estate e messo sul comodino per le emergenze, è stato un utile rimedio alla tristezza che avevo accumulato a metà ottobre.

La storia di come Petra Hartlieb e suo marito Oliver hanno aperto una libreria a Vienna, senza soldi e senza patemi, è raccontata come la si potrebbe raccontare a un conoscente davanti a una birra al bancone di un bar: con una certa spontaneità e senza pretese letterarie.

Mi resta qualche dubbio sulla verosimiglianza di questa storia vera, abbastanza facilona rispetto all’idea che ho io della realtà imprenditoriale in un settore come quello delle librerie. Mi piacerebbe sapere che ne pensano tanti piccoli librai italiani.

Un po’ di rassegna stampa è sul sito della casa editrice.


Emanuele Trevi, I cani del nulla. Una storia vera

[Nuova edizione Einaudi 2021, introduzione di Sandro Veronesi, pp. 168]

Ancora brio, in questo caso tutto intellettuale e in pieno stile Trevi: divertimento letterario estremo.

Scrittura colta e sapiente che diventa qui e là esercizio di stile (per me sempre irresistibile), ma anche prosa che è narrazione perfetta, perché I cani del nulla è il racconto delle cose quotidiane, da tinello.

E c’è Gina, «avanzo di canile municipale», cagna dalle orecchie enormi di cui non ci si scorda davvero più.

«Eccola che ti guarda di nuovo dal basso, sfruttando le risorse di una mimica languida, accuratamente studiata e perfezionaa all’unico, supremo scopo della captatio benevolentiae. Le orecchie sono inclinate a dovere e la coda ricomincia a muoversi lentamente, con sofferta cautela»

[pag. 9]

2. Un film

Blonde di Andrew Dominik (2022)

Avevo letto un po’ di recensioni online e qualche post sui social. Soprattutto polemiche e accuse (è un brutto biopic, è un non-biopic, è falso, è osceno, è volgare, è disturbante, è pornografico, è sbagliato, è lungo, è sovraccarico, è ondivago, è irrispettoso, è detestabile, è pretenzioso, è superficiale, è un flop, è ai limiti del vilipendio iconografico).

Invece, in breve: è un film straordinario.

[In lingua originale, per favore]

3. Una canzone

Françoise Hardy, Des ronds dans l’eau

Il mio debole per la canzone francese, questo mese è tornato a visitarmi.

Questo brano, celebre, è del 1967 e l’ho riscoperto grazie al programma Sei gradi di Radio Rai 3 (puntata del 27 ottobre: “Da Antonio Vivaldi a Rosemary Clooney”).

4. Un posto bello

Un castagneto marchigiano: Colle San Marco

A inizio ottobre abbiamo fatto una passeggiata a Colle San Marco, una propaggine della Montagna dei Fiori, nella provincia di Ascoli Piceno: una salita non semplicissima lungo una mulattiera che attraversa un castagneto per arrivare all’eremo. L’eremo di San Marco si trova su uno sperone di travertino, meta amata da monaci e anacoreti nel Medioevo.

Un tappeto di ricci di castagne, boschi misti di abeti bianchi, pini neri, querce, ginepri e ciliegi selvatici, e poi cavalli che se ne vanno a spasso liberi per il pianoro.

È sorprendente quanta bellezza si possa trovare a pochi chilometri da casa propria. No?

5. Oggetti prediletti

Le spille autunnali di Un peu savage

Già in estate ero rimasta incantata dalle creazioni artigianali di Un peu savage.

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Lei è Giulia e sul suo profilo Instagram si descrive “slow fashion knitter“. Giulia confeziona a mano capi e accessori con materiali sostenibili: filati di recupero, vecchi gomitoli, lane tinte a mano.

Così, in autunno io me ne vado in giro con una spilla a forma di ghianda o di fungo, appuntata sulla giacca o sul maglione, e accolgo una stagione che amo ogni anno di più. Sto davvero invecchiando.

6. Piccoli rituali domestici

Un rituale di ottobre sarebbe stato preparare i dolci di Halloween per i bambini del palazzo. Quest’anno non ce l’ho fatta (per i motivi spiegati alla fine di questo inventario).

Peccato, perché l’anno scorso mi ero impegnata e divertita davvero tanto.

Questa cosa di far felici gli altri cucinando per loro, non mi passa mai.

7. Una ricetta

Torta di zucca con mandorle e arancia candita

Come la faccio io:

  • 300 gr. di zucca (tagliata a cubetti e cotta in forno ventilato a 200° per 20 minuti, senza nessun tipo condimento, poi frullata con il minipimer)
  • 150 gr. di farina 00
  • 100 gr. di farina di mandorle
  • 50 gr. di amido di mais (maizena)
  • 3 uova
  • 150 gr. di zucchero di canna integrale
  • 50 gr. di burro a temperatura ambiente, tagliato a pezzetti e ammorbidito
  • 1 bustina di lievito in polvere per dolci
  • 1 bustina di vanillina
  • 70 gr. di cubetti di arancia candita
  • semi di zucca sgusciati, a piacere
  • mandorle sbriciolate, a piacere

Il resto non è difficile: si mescola tutto insieme un po’ alla volta con le fruste elettriche, cominciando da uova e zucchero, proseguendo con il burro e la purea di zucca, e completando via via con le farine. Le dosi vanno bene per uno stampo da 20-22 cm, unto e infarinato. I semi di zucca e le mandorle sbriciolate si mettono alla fine sopra l’impasto, come guarnizione, prima di infornare. Cottura in forno statico preriscaldato a 160° per circa 45 minuti.

Buona, semplice e ottobrina, adatta a colazioni e merende.

8. Curiosità

Pessimists Archive: abbiamo sempre paura del nuovo, finché non diventa vecchio

Un bellissimo archivio di ritagli di giornali creato da Louis Anslow nel 2014 sulla tecnofobia contemporanea: le invenzioni di cui abbiamo avuto paura in passato, come ne parlavamo e perché eravamo diffidenti.

against novels

Una sezione di questo straordinario archivio è dedicata ai libri: qui si ricorda la paura dei romanzi, colpevoli di distrarre dalla lettura dei libri seri.

«Long before television and video games, or before comic books and D&D, novels were the new and scary form of entertainment. They were accused of corrupting the youth, of planting dangerous ideas into the heads of housewives, and distracting everyone from more serious, important books.»

pessimistsarchive.org/list/novels/clippings

9. La parola del mese

Disperanza

di-spe-ràn-za

Significato: Disperazione; sfiducia; dubbio; sgomento davanti alla vastità.

Etimologia: da disperare, voce dotta recuperata dal latino desperare, composto di de– e sperare ‘sperare’.

Esempio: «Quando ho letto il nome dell’ufficiale responsabile, mi si è aperto uno spiraglio di disperanza.»

La disperazione ha fatto in tempo a scavarsi un significato estremo molto univoco. Posso ancora dire in maniera non troppo drammatica che dispero di arrivare in tempo per il taglio della torta, ma il richiamo alla disperazione racconta un abbattimento completo, un sentimento che seppellisce. Invece la disperanza (anche se può arrivare ai significati ultimi della disperazione) in genere si mostra più sobria, più lucida e presente — addirittura può pareggiare le criticità della speranza, sentimento che non è universalmente positivo, che vive anche una misura di mollezza e illusione.

Posso parlare di come un avvicendamento di speranze e disperanze accompagni lo sviluppo della partita, posso parlare della disperanza di raggiungere l’obiettivo voluto, di come una certa situazione ci lasci un senso di disperanza. C’è sfiducia, dubbio, timore, nella disperanza, che proprio in quanto negazione letterale della speranza ci resta a confronto, in dialogo, la adombra — come la disperazione, avvitata su sé stessa, non sa fare.

Ma c’è un ulteriore uso che merita di essere citato, perché arricchisce la tavolozza dei nostri sentimenti: è stata detta disperanza anche quel sentimento sublime di sgomento che si prova davanti all’immenso, all’indomabilmente vasto — e ciò che ha questi caratteri. Ad esempio si può parlare della disperanza delle vette innevate, o del mare in tempesta. Non è un nesso abituale, ma è facile accorgersi come ci possa essere o possa mancare, nel rapporto con le grandezze del mondo, un senso di fiducia che è una sfumatura di speranza, o di sfiducia che è disperanza.

[…]

Dunque la di-speranza non è proprio l’opposto della speranza, ma in qualche modo la contiene: una speranza non semplicemente accettata perché comoda, ma scelta.

Leggi la parola completa su UPAG – Una Parola Al Giorno, 14 ottobre 2022 [parte del ciclo: Giorgio Caproni, le parole]

10. Cose da ricordare

Il 25 ottobre mio nipote Gioele ha compiuto un anno, e io sono una zia molto felice e innamorata.

E adesso, novembre

Durante il mese di ottobre sono stata quasi sempre male: influenze balorde, raffreddori spietati e sinusiti folli, spossatezze estreme, disastri intestinali.

Ho lavorato con molta fatica, e ho desiderato spesso fare quello che i miei gatti Icaro e Teti – e credo tutti i gatti del mondo, soprattutto quelli che hanno una vita agiata in una casa confortevole – fanno per la maggior parte del loro tempo: dormire profondamente, sonnecchiare quietamente, oziare impunemente.

Per novembre, aspiro solo a rimanere sana, e poco altro.